Uccelli in gabbia e pesci negli acquari
“Finché un animale sarà recluso nessun uomo sarà libero”
L’usanza di tenere uccelli in gabbia addolora chi ha un animo sensibile. Splendide creature, assetate di sole e di cielo, nate per essere libere, tristemente recluse in strettissimi spazi per allietare con il loro canto e la loro bellezza esseri umani privi di coscienza.
L’uccello, dalle ali a ventaglio e dal piumaggio smagliante, ama spazi illimitati, cerca i suoi simili; ma l’uomo, l’uomo lo strappa al suo mondo, lo reclude, per tutta la sua brevissima esistenza, in minuscole gabbie dove i giorni, i mesi, gli anni, tutti disperatamente uguali, scandiscono il tempo fino all’ultimo suo istante di vita, fino alla sua liberazione, fino alla morte. E sogna l’uccello alberi verdi e campi d’erba in fiore che non vedrà mai; sogna la fresca acqua della terra; sogna il caldo sole negli occhi, la pioggia tamburellante sui rami, il suono delle fronde che vibrano al giocare del vento, e canta l’uccello la sua struggente nenia senza poter di sfuggire al suo destino, alla sua incomprensibile condanna.
E che dire del pesce nel vaso o nell’acquario? Piccolo essere dalle squame lucenti escluso per sempre dalle distese blù dei suoi oceani. Gira il pesce, gira su se stesso, cento, mille volte al giorno, nella sua abissale solitudine e mentre le sue lacrime (chissà) si dissolvono nell’acqua, di lui ridono gli umani e il bambino dice “mamma, guarda che bello, che bei colori, che bella coda”. Che dire di tutti gli animali ai ferri negli stabulari? dei lager degli allevamenti intensivi? dei cuccioli di vitello incatenati, veri e propri bambini ai quali viene impedito qualunque movimento, qualunque contatto con la propria madre: creature che conoscono solo sofferenza fino alla liberazione del coltello: identica sorte dei loro sventurati cugini maiali.
E che dire del cane alla catena? Dio li crea liberi e l’uomo li imprigiona. Abbiamo trasformato questa terra in un’immensa camera di tortura per animali.
Dov’è il cuore della specie umana? La durezza e l’indifferenza verso il dolore dell’altro rendono l’uomo il più tirannico dei predatori. C’è nulla di più crudele, di più ingiusto, di più disumano della privazione della libertà di una creatura innocente, nata per essere libera? C’è nulla di più egoistico che cercare il proprio piacere sull’altrui sofferenza? L’insensibilità umana, l’oggettivazione del diverso, non portarono forse l’uomo a concepire l’idea dello schiavismo? Ciò che legittimò lo sfruttamento del più debole a vantaggio del più forte? Ciò che lo inclinò alla negazione del valore supremo della Vita?
Perché imprigioni ingiustamente mentre non vorresti essere imprigionato? Perché causi sofferenza se tu stesso cerchi di fuggirla? Chi ruba l’altrui libertà imprigiona la propria coscienza, tarpa le ali alla propria anima. Libera quella quell’ uccellino che hai nella gabbia, quel pesce che hai nell’acquario…, spezza le sue e le tue catene e finalmente anche tu sarai un uomo libero.
Franco Libero Manco