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Perché continuate a parlare di noi invece di parlare di loro

«Caro Crozza,
non c’è un cazzo da ridere. Già. A me personalmente non interessa e non tocca più di tanto essere presa in giro, un po’ per carattere un po’ perché ci ho fatto l’abitudine. Quello che mi innervosisce parecchio però, è che ogni volta che mettiamo l’accento sui vegani – così giusto per ridere di qualcuno – , dimentichiamo quale è il vero tema alla base di una scelta che, mi duole deluderla, è molto più che alimentare.

 

E soprattutto su CHI c’è veramente al centro di questo dibattito. Non ci siamo noi, che ridiamo, che ci ingozziamo; che se ci levano l’affettato chissà come sopravviveremo manco c’avessero levato l’ossigeno – cosa che stanno facendo, quindi magari un giorno non troppo lontano scopriremo che era più importante l’aria buona della bistecca -, o rapinato la pensione .

 

C’è qualcuno che, nel preciso momento in cui lei si diletta ad ironizzare su zucche che piangono e vegani cacacazzi – e, apoteosi, donne vegane che sarebbero la massima sventura del pianeta – , è rinchiuso in una prigione. Qualcuno che si muove appena fra la merda dei propri compagni di cella, l’odore palpabile della paura, del sangue, della solitudine. Qualcuno che non ha mai visto la luce del sole, ma udito solo grida e versi laceranti di dolore.

 

Qualcuno che è stato strappato alla sua mamma, perché nei supermercati possa arrivare il suo latte. Che viene fatto ingrassare artificialmente per diventare… una fettina (di vitello). Qualcuno che sta urlando, mentre viene trasportato al macello dentro un enorme camion, senza acqua né cibo; stipato e deportato. Qualcuno che altrove viene trascinato, spintonato, pungolato, perché si rifiuta di porgersi al suo carnefice.

 

Qualcuno che si dimena ancora, dopo essere stato trafitto da una lama, mentre appeso per una zampa sul nastro trasportatore sta per essere eviscerato.
Diciamolo, visto che lei non l’ha detto e ha preferito parlare dei vegani. C’è qualcuno che viene fatto nascere, crescere e poi sgozzare: allevato appositamente per quel culatello al quale, a suo dire, dei pazzi esaltati hanno rinunciato.

 

Ma i vegani non hanno rinunciato al “culatello”, caro Crozza: queste persone, tante persone, hanno guardato in faccia cosa c’è dietro, CHI c’è dietro. Hanno rinunciato a mangiare qualcuno, che è ben diverso. Un maiale, non un culatello! Un individuo fatto a pezzi e ricomposto in forma di affettato. Ecco cosa è quel culatello, o meglio chi era!

 

È devastante vedere gente che si spacca in due dalle risate mentre sappiamo bene che nello stesso istante, nelle nostre città, sta accadendo tutto questo. Si ride delle persone, delle loro abitudini alimentari stravaganti, si chiede scusa agli amici vegani perché si sta solo scherzando.

 

Ma le scuse non ci servono, mi spiace deluderla signor Crozza, e se rispondiamo a questa sua parodia non è ancora una volta perché ci sentiamo lesi nella nostra personalità. Noi non siamo nati vegani; non è un’identità di genere, un gruppo sanguigno; un recinto o un club esclusivo, un tifo calcistico o un circolo di eletti. Non ci sono campagne elettorali né faide fra clan: questo è quello che fa comodo a voi. Parlare di noi per non parlare di loro.

 

Siamo invece dei portavoci, testimoni di urla silenziose: siamo stati dentro quei luoghi e ci torniamo con la mente ogni giorno. Se questo vi fa ridere, è perché ancora una volta state osservando la situazione dalla prospettiva sbagliata. Se state parlando di noi, vi state solo distraendo,state perdendo tempo. Perché l’argomento in discussione non siamo noi, ma LORO. Gli ultimi degli ultimi, quello che ogni giorno gli viene fatto.

 

E a questo punto, signor Crozza, forse le scuse andrebbero a quel qualcuno che, mentre lei devia l’attenzione del pubblico da una questione etica importantissima all’immagine televisiva di zucche che soffrono e piangono, sta veramente sputando sangue nel recinto contenitivo di un allevamento.

 

La questione dell’eterna menzogna, delle mistificazioni di una cultura ed un linguaggio specisti e profondamente dissociati sta proprio qui. Perché le zucche e le loro lacrime vengono nominate, esibite e ricalcate, mentre gli animali, il loro sangue e le loro sofferenze sono nascosti dietro nomi di affettati?

 

Perché continuate a parlare di “noi” invece di parlare di “loro”?

Fa comodo magari, ma non c’è un cazzo da ridere. Coraggio di raccontare la verità, quello sarebbe utile.»

 

di Arianna Fraccon – fonte Facebook | Foto: Filmingforliberation

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