Il macello è il punto di arrivo
Mi è capitato di rileggere l’articolo pubblicato da Veganzetta il 9 gennaio 2015 con testimonianze dei lavoratori nei macelli inglesi. Sono un medico veterinario, non ho lavorato in un macello, ma nel mio percorso di studi, ho dovuto frequentare questi luoghi e assistere alla macellazione bovina ed equina in Italia: in Piemonte per la precisione. Mi piacerebbe esprimere la mia opinione a proposito. Una sola premessa: gli operatori che ho potuto osservare con gli Animali vivi non hanno attuato comportamenti simili a quelli descritti nelle testimonianze, può darsi solo a causa della mia presenza.
Ciò che tengo a sottolineare con forza è che il macello rappresenta per l’Animale il termine di una sofferenza, ne rappresenta la fine, in un certo senso l’affrancamento. Finalmente non si dovranno più sopportare condizioni di vita ignobili, trattamenti medici invasivi e rudi, macchinosi e senza alcun tipo di rispetto.
Non si dovrà più sopravvivere in ambienti asfissianti, bui, noiosi, in cui non si può interagire gli uni con gli altri spontaneamente, in cui se si è femmine toccherà essere violentate e ingravidate e non si potrà nemmeno godere del piacere della maternità a causa delle restrizioni e delle privazioni, che coinvolgeranno inevitabilmente anche i conseguenti orfani. Il macello rappresenta la tappa finale di un viaggio di ore (minimo due) in un vano di un camion, nuovamente pressati, imprigionati, soffocati, senza possibilità di dissetarsi d’estate, o riscaldarsi in inverno, di muoversi, di alimentarsi, di interagire con i compagni di viaggio se non calpestandosi e ferendosi a vicenda. Il macello è il punto di arrivo di tutto questo… Ci si ritrova in un corridoio (più o meno lungo a seconda della specie animale) e si procede in coda: si odono rumori di sottofondo, si percepiscono odori forti, acri, che intimoriscono, allarmano, ma si arriva ad un termine.
Ovviamente questo avviene più o meno rapidamente a seconda di come ci si comporta, se si percorre diligentemente il corridoio si giunge in fretta, altrimenti inizia la lotta e l’Umano ha voglie di prevaricazione, ha necessità di mostrare la sua forza: “non l’avrai vinta tu, questo è il percorso e qui vai a finire, con le buone o con le cattive”… A questo punto la violenza si subisce, non c’è modo di evitarla, si assiste anche a quella inflitta agli altri, senza poter aiutare, senza poter scappare.
E se durante il tragitto qualcuno si ferisse? Se qualcuno, magari già in condizioni di salute precarie, ma fatto viaggiare forzatamente per non incorrere in tutte le noiose problematiche relative alla macellazione in azienda, arrivato a destinazione fosse troppo debole per scendere dal camion? Beh, allora verrà forzato, istigato, maltrattato affinché si alzi altrimenti si può finire lì, davanti a tutti, uccisi e abbandonati nel vano deserto e lurido del camion in cui si è viaggiato.
Cosa accadrà a quel corpo non ha importanza. Se gli operatori utilizzeranno una testa come una sorta di pallone da lanciarsi nei corridoi, se giocheranno con una bocca a mo’ di marionetta o si rinfrescheranno con gli idranti ridendo a fine giornata non ha più importanza. Il viaggio è giunto al termine ed anche la vita, la sopravvivenza e tutte le sue inutili sofferenze, è finita.
Alice Rostagno – fonte: veganzetta.org